Un nuovo rapporto realizzato da Itinerari Previdenziali con CIDA denuncia una svalutazione strutturale delle pensioni medio-alte in Italia, dovuta principalmente al mancato adeguamento all’inflazione.
Sono circa 1,8 milioni di pensionati quelli che più ne soffrono, specie chi percepisce assegni lordi superiori a € 2.500.
Cosa dice lo studio
- Negli ultimi trent’anni le pensioni medio-alte hanno perso più di un quarto del loro potere d’acquisto.
- La perdita economica prevista per i prossimi 10 anni per molti pensionati del ceto medio è di almeno € 13.000 neutri dalla mancata rivalutazione. Per assegni lordi molto alti, la cifra può salire fino a € 115.000.
- Il danno più forte lo subiscono pensionati che hanno versato contributi significativi: coloro che hanno “dato di più” al sistema previdenziale ma non ricevono una compensazione piena.
I meccanismi della svalutazione
Perequazione incompleta
- Fino al 2022 vigeva lo schema introdotto dalla normativa del 1996: piena rivalutazione (100%) per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo INPS, poi percentuali calanti con l’aumentare dell’importo.
- Nelle manovre più recenti (2023-2024), se da una parte sono stati rivisti al rialzo assegni più bassi e pensioni minime, dall’altra sono state ridotte drasticamente le percentuali di rivalutazione per importi elevati.
Impatti diretti sul ceto medio
- Pensioni lorde sopra € 2.500 lorde al mese (meno di € 2.000 netti) notano la perdita maggiore.
- Tagli, blocchi e contributi di solidarietà si sono susseguiti negli anni, con impatti cumulativi rilevanti.
Conseguenze sociali e politiche
- Si mina la fiducia nel patto generazionale: chi ha versato contributi oggi vede che il suo assegno non conserva realmente il valore che ci si aspettava.
- Il fenomeno colpisce soprattutto il ceto medio pensionato, che non gode delle protezioni riservate ai trattamenti minimi ma non ha neanche rendite altissime.
- Possibili profili di incostituzionalità: lo studio cita che per le quote calcolate con metodo contributivo la rivalutazione piena sarebbe prevista dalla normativa, ma non sempre applicata.
Numeri recenti e situazione attuale
- È previsto che la perdita di potere d’acquisto per alcuni pensionati superi i € 13.000 nei prossimi 10 anni.
- Per assegni molto elevati (oltre 10 volte il trattamento minimo), la perdita cumulata può arrivare fino a € 115.000 lordi (circa € 6.000 netti, secondo lo studio).
- Le percentuali di rivalutazione vigenti nel 2023-2024 vedono una forte riduzione per assegni elevati: ad esempio, per importi superiori a 10 volte il trattamento minimo si applicano percentuali molto inferiori rispetto all’inflazione.
Proposte e richieste
- Regole di perequazione stabili nel tempo per evitare che ogni governo applichi tagli diversi.
- Certezza del diritto e rispetto del merito contributivo: che chi ha versato di più non sia penalizzato dal sistema.
- Adeguamenti legislativi che rendano la rivalutazione piena un obbligo nei casi previsti dal metodo contributivo.
Lo studio di Itinerari Previdenziali con CIDA mette in luce che non si tratta solo di cifre: è una questione di equità, fiducia tra generazioni e della dignità di chi ha lavorato una vita.
Se non si interviene con misure che ristabiliscano la perequazione piena e proteggano le pensioni medio-alte, la perdita del potere d’acquisto rischia di continuare per ancora molti anni.




Lascia un commento