La Frustrazione di una Generazione: Il Patto Infranto
«I giovani non hanno voglia di lavorare». È un’accusa che risuona frequentemente, ma che nasconde una verità più complessa e profonda. La replica che sta circolando online non è una semplice scusa, ma il grido di frustrazione di una generazione che si sente vittima di un patto infranto. Le promesse di un futuro roseo in cambio di studio, impegno e sacrifici si sono scontrate con una realtà fatta di stipendi bassi, precarietà e l’impossibilità di raggiungere traguardi che erano la norma per le generazioni precedenti.
Il Paradosso: Più Titoli di Studio, Meno Opportunità Reali
Il paradosso è lampante. I giovani di oggi sono, in media, la generazione più istruita della storia. Hanno accumulato esperienze all’estero, imparato lingue straniere e padroneggiano competenze digitali. Eppure, questo bagaglio fatica a tradursi in stabilità economica. Il traguardo di comprare una casa, mantenere una famiglia con un solo stipendio o concedersi una vacanza senza ansia – obiettivi considerati standard per i loro nonni – appare oggi come una meta quasi irraggiungibile. Questo scollamento tra aspettative e realtà genera una profonda disillusione.
Lavorare per Sopravvivere, non per Vivere
Il cuore del malessere non è la pigrizia, ma la percezione che il lavoro sia diventato sterile. Molti giovani sperimentano che «lavorare così non serve a nulla» se il frutto di quel lavoro non permette di costruire una vita autonoma e dignitosa. Si tratta di una ribellione contro un sistema che chiede performance sempre maggiori in cambio di una ricompensa sempre minore.
La “Società della Stanchezza” e l’Atto Ribelle di Fermarsi
Il filosofo Byung-Chul Han ha definito la nostra epoca “la società della stanchezza“, caratterizzata dall’obbligo di essere sempre produttivi, performanti e connessi. In questo contesto, la mancanza di voglia di lavorare non è sintomo di apatia, ma un consapevole atto di resistenza. È il rifiuto di continuare a correre su un “tapis roulant che non porta da nessuna parte”. Fermarsi, staccare, pretendere un lavoro che valga la pena non è un fallimento: è una forma di autodifesa e una richiesta di un nuovo patto sociale.
Non “Giovani”, ma la Prima Generazione più Povera dei Genitori
La conclusione è amara ma necessaria. Quella attuale non è una generazione di “giovani” pigri, ma la prima generazione in epoca moderna ad essere più povera di quella che l’ha preceduta. Chiamare le cose con il loro nome è il primo passo per comprendere una protesta silenziosa che non chiede privilegi, ma solo il rispetto di un patto che era stato promesso: quello per cui il duro lavoro dovrebbe essere ripagato con la possibilità di costruire una vita migliore.




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