Il panorama dello streaming è sempre più complesso e costoso. Secondo l’analisi di Gabriel V. Rindborg su Internazionale, l’esperienza su diverse piattaforme – con scarsa copertura dei contenuti, costi in aumento e discontinuità di servizio – sta spostando molti utenti verso lo streaming pirata, non tanto per risparmiare, ma per una questione di funzionalità.
Cosa dicono i dati
Secondo l’azienda Muso, specializzata nel monitoraggio della pirateria, il 96% della pirateria audiovisiva nel 2023 è avvenuta tramite streaming illegale. Le visite ai siti pirata sono passate da 130 miliardi nel 2020 a 216 miliardi nel 2024. In Svezia, il 25% degli intervistati (tra 15 e 24 anni) ha ammesso di aver utilizzato questi strumenti.
Non è (solo) una questione di prezzo
Come affermato da Gabe Newell, cofondatore di Valve: “La pirateria non è una questione di prezzo, è una questione di servizio”.
La frammentazione delle piattaforme, contenuti sparpagliati e abbonamenti multipli scoraggiano gli utenti, che cercano alternative più comode, anche se illegali.
La pirateria rimane diffusa
In Italia, il 29% degli adulti accede illegalmente soprattutto a film, mentre la pirateria sportiva – legata soprattutto alle IPTV – è in aumento. A livello globale, il fenomeno causa perdite miliardarie all’industria audiovisiva.

Come dovrebbe reagire l’industria?
Secondo Rindborg, i produttori dovrebbero ispirarsi a modelli basati su fiducia e accesso facilitato ai contenuti – come nella storia del Banco Medici – e superare i costi artificiali e barriere d’accesso. Solo così è possibile offrire un servizio competitivo e non spingere gli utenti verso la pirateria.
Non basta difendere la pirateria. Serve offrire un servizio fluido, accessibile e completo. Se questo non accade, l’utente, stanco di abbonamenti frammentati, può preferire la comodità – anche illegale – di una piattaforma pirata.




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