Una svolta tragica nella vicenda di Luca Sinigaglia: il corpo del 49enne alpinista italiano, deceduto sul Pik Pobeda (7439 m) durante una missione di soccorso, non potrà essere recuperato. Il governo del Kirghizistan ha revocato all’ultimo momento l’autorizzazione inizialmente concessa alla squadra di soccorso italiana.
La missione annullata
La squadra di soccorso, composta dai capitani Manuel Munari e Marco Sottile e dalla guida alpina Michele Cucchi, era pronta a partire con un elicottero per raggiungere l’amica russa disperata dopo un infortunio. Tuttavia, l’autorizzazione è stata sospesa nella notte, annullando completamente la missione.
Le ipotesi sul motivo del blocco
Secondo Agostino Da Polenza, organizzatore della spedizione, le autorità kirghise potrebbero aver considerato la russa già deceduta, togliendo così priorità all’intervento. Inoltre, la decisione potrebbe essere legata a rischi legati alla sicurezza e alle condizioni meteo in quota.
Le conseguenze per la famiglia e le istituzioni
La squadra italiana è rientrata a Bishkek e presto tornerà in Italia, lasciando Luca Sinigaglia “sulla montagna”. Anche la Farnesina era impegnata nel coordinamento della missione, ma si è trovata impotente di fronte alla revoca inspiegabile.

Le complessità dei recuperi ad alta quota
Recuperare corpi da grandi altitudini come il Pik Pobeda è estremamente complesso e rischioso. Il cadavere può diventare pesante come una tonnellata, e la logistica, i costi e la sicurezza dei soccorritori spesso rendono queste operazioni impraticabili, anche oltre le politiche locali.
Il ritiro dell’autorizzazione da parte del governo kirghiso rappresenta un colpo doloroso per la famiglia Sinigaglia e per le istituzioni italiane. La montagna mantiene così il suo ultimo custode, sotto un silenzio impietoso di motivazioni e speranze non realizzate.
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