Il prestigioso brand vicentino Dainese, leader mondiale nell’abbigliamento protettivo per motociclisti, è stato ceduto per la cifra simbolica di 1 € ai fondi Arcmont Asset Management e HPS Investment Partners, i suoi principali creditori. L’operazione è il risultato di un debito di circa 300 milioni di euro, accumulato in pochi anni, e segna un nuovo capitolo nella lista delle eccellenze italiane finite in difficoltà.

Cosa è successo
Il fondo americano Carlyle Group, che aveva acquistato Dainese nel 2022 per 630 milioni di euro, ha trasferito il controllo del brand ai creditori per salvarlo dal collasso finanziario.
L’azienda ha registrato tre bilanci in perdita consecutivi, con un rosso di circa 120 milioni nel 2024.
L’operazione di salvataggio è stata costruita su un debt-for-equity swap, con l’impegno dei fondi di iniettare 25 milioni di euro di liquidità immediata.
Dainese non è un caso isolato: altri marchi italiani in crisi
Negli ultimi vent’anni, numerosi brand del Made in Italy hanno subito sorti simili:
Benetton: da icona mondiale negli anni ’90 a gruppo in forte ridimensionamento, con chiusure di negozi e vendite in calo.
Sergio Tacchini: più volte passata di mano e dichiarata insolvente.
Natuzzi (arredamento): ristrutturazioni continue, tagli e delocalizzazioni per sopravvivere.
Moto Morini: storico marchio motociclistico, fallito e poi rivenduto più volte a investitori stranieri.
Bialetti: simbolo della moka italiana, ha rischiato il fallimento ed è stata salvata solo con pesanti ristrutturazioni del debito.
Peroni e Parmalat: marchi storici ceduti a multinazionali estere per motivi finanziari.
Riflessione: il Made in Italy tra eccellenza e fragilità
Il Made in Italy è sinonimo di qualità, design e tradizione artigiana, ma non sempre rappresenta solidità economica e capacità di competere globalmente. In molti casi:
- Modelli di business obsoleti: alcune aziende non hanno investito abbastanza in innovazione, digitalizzazione e distribuzione internazionale.
- Dipendenza dai capitali esteri: per crescere o sopravvivere, numerosi brand italiani hanno ceduto il controllo a fondi stranieri, perdendo autonomia.
- Eccesso di leva finanziaria: come nel caso di Dainese, acquisizioni costose e debiti sproporzionati rispetto ai ricavi hanno reso i bilanci insostenibili.
- Mercati saturi e concorrenza globale: il prezzo del “lusso accessibile” è stato eroso da competitor internazionali più aggressivi.
Questo scenario evidenzia un punto scomodo: non tutti i prodotti Made in Italy sono un successo economico, e la “bandiera” nazionale, se non supportata da strategie moderne e gestioni solide, può diventare un’illusione che nasconde fragilità strutturali.

La vicenda Dainese è l’ennesimo segnale che la qualità del prodotto non basta a garantire la sopravvivenza di un marchio. Senza piani industriali moderni, investimenti mirati e una governance capace di reggere i mercati globali, anche i nomi più prestigiosi possono finire svenduti per un euro. Il Made in Italy resta un patrimonio, ma deve diventare sinonimo non solo di eccellenza artigianale, ma anche di sostenibilità economica e strategica.




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