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Come il governo Meloni sta affrontando la crisi economica

Come il governo Meloni sta affrontando la crisi economica

L’Italia sta affrontando una fase delicata. La situazione economica, pur non esplosiva, è complessa. Il debito pubblico italiano resta tra i più alti d’Europa, con una percentuale sul PIL attorno al 140%, mentre la crescita economica del 2025 si ferma sotto l’1%. Il rallentamento globale, l’inflazione ancora alta su alcuni beni e la difficoltà nel rilancio degli investimenti penalizzano la ripresa.

Il mercato del lavoro ha mostrato segnali misti. Da un lato la disoccupazione generale è in lieve calo, ma dall’altro il tasso di inattività giovanile, soprattutto al Sud, resta preoccupante. Le disuguaglianze territoriali e generazionali si amplificano, contribuendo a un clima di incertezza. Anche la natalità è in declino, con meno di 380.000 nascite nel 2024: un nuovo minimo storico.

Conti pubblici sotto controllo, ma a quale prezzo?

Uno degli obiettivi centrali del governo Meloni è la riduzione del deficit. Dal 2022 al 2024, l’Italia è passata da un disavanzo del 7,2% al 3,8%, con un target fissato al 3,3% per il 2025. È un risultato che ha rassicurato i mercati e le istituzioni europee, ma che ha comportato tagli, rimodulazioni e una forte attenzione alla spesa pubblica.

Il rispetto del vincolo del 3% imposto dall’Unione Europea rimane una priorità, anche in vista dell’uscita dalla procedura per deficit eccessivo entro il 2026. Tuttavia, la stretta fiscale rischia di rallentare le politiche di rilancio in settori chiave come la sanità, l’istruzione e il welfare.

Le riforme principali: numeri e impatti

In quasi due anni di governo, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha approvato oltre 220 provvedimenti, tra decreti legge e leggi ordinarie. L’uso del voto di fiducia è stato frequente, con una media di quasi tre al mese. Ecco le principali riforme approvate:

  • Premierato elettivo: introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, per aumentare la stabilità politica. La riforma è ancora in fase di approvazione e sarà sottoposta a referendum.
  • Riforma Nordio sulla giustizia: eliminazione del reato di abuso d’ufficio e modifiche ai procedimenti penali. L’obiettivo è ridurre il carico giudiziario sugli amministratori locali, ma le critiche riguardano il possibile allentamento della lotta alla corruzione.
  • Codice degli appalti: semplificazione delle procedure per le opere pubbliche, con attenzione ai progetti finanziati dal PNRR. Il decreto Salva-casa affianca questa riforma, agevolando la regolarizzazione edilizia.
  • Autonomia differenziata: concessione di maggiori competenze alle Regioni in materie chiave. La misura è criticata per il rischio di aumentare le diseguaglianze territoriali, soprattutto tra Nord e Sud.
  • Taglio del cuneo fiscale: reso strutturale per i redditi fino a 35.000 euro. Ha garantito aumenti netti in busta paga, ma le risorse necessarie per mantenerlo nel tempo sono ingenti.
  • Cittadinanza e immigrazione: inasprimento delle regole per l’ottenimento della cittadinanza italiana per discendenza. La misura ha rallentato le pratiche di riconoscimento, soprattutto per gli italiani all’estero.
  • Divieto di maternità surrogata anche all’estero: la pratica è ora penalmente perseguibile anche fuori dai confini italiani. È una riforma fortemente divisiva che tocca temi etici e civili.
  • Formazione tecnica e professionale: investimento di 151 milioni di euro per potenziare i percorsi duali (scuola + lavoro), con l’obiettivo di avvicinare l’istruzione al mercato del lavoro.
  • Decreto Siccità: piano per fronteggiare le crisi idriche, con interventi su infrastrutture, bacini e reti. Il provvedimento risponde all’urgenza climatica, soprattutto nelle aree del Sud.
  • Politiche per la natalità: bonus da 1.000 euro per i nuovi nati (con ISEE fino a 40.000 euro), estensione del congedo parentale e incentivi per le famiglie numerose. La misura vuole invertire il trend del calo demografico.

I nodi ancora irrisolti: PNRR, diseguaglianze e Mezzogiorno

Nonostante le riforme, permangono criticità strutturali. L’attuazione del PNRR è in ritardo: molte risorse sono ferme a causa di burocrazia, contenziosi e scarsa capacità amministrativa di molti enti locali. Le scadenze si avvicinano, e l’Italia rischia di perdere parte dei fondi europei se non accelera l’esecuzione.

Il divario tra Nord e Sud resta profondo. La disoccupazione giovanile supera il 17% in diverse regioni meridionali, e la migrazione interna verso le aree più sviluppate continua. Le politiche redistributive non sembrano sufficienti a riequilibrare la situazione.

Anche sul fronte sociale, le proteste contro la riforma del reddito di cittadinanza, sostituito da strumenti più selettivi, hanno acceso il dibattito su welfare e povertà. Le fasce più fragili della popolazione lamentano una crescente difficoltà nell’accesso ai servizi essenziali.

Politica estera ed energia: un equilibrio strategico

Sul piano internazionale, il governo Meloni ha cercato fin da subito di rafforzare il ruolo dell’Italia come attore strategico nello scenario mediterraneo. Il contesto globale – tra guerre, crisi energetiche e tensioni commerciali – ha spinto l’esecutivo a ridefinire le sue alleanze e a puntare su un modello più autonomo e pragmatica di diplomazia economica.

Uno dei fronti prioritari è stato il Nord Africa, con cui sono stati siglati accordi multilaterali e bilaterali per garantire forniture stabili di gas naturale e rafforzare la cooperazione in materia di migrazione, investimenti e infrastrutture. La missione in Algeria e i protocolli firmati con Libia, Tunisia ed Egitto fanno parte di una strategia più ampia per rendere l’Italia un hub energetico del Mediterraneo.

Accanto all’energia, il governo ha rafforzato i rapporti anche con i Paesi balcanici, sia per motivi di stabilità geopolitica che per agevolare nuovi canali commerciali. È stata inoltre rinnovata l’attenzione verso i Balcani occidentali, con il sostegno ai processi di adesione all’Unione Europea e la promozione di investimenti infrastrutturali nei corridoi di collegamento tra l’Adriatico e l’Europa centrale.

La politica estera ha visto una progressiva apertura verso il Medio Oriente, soprattutto per questioni energetiche. Accordi con Qatar e Azerbaigian hanno diversificato ulteriormente le forniture, riducendo la dipendenza dal gas russo, e aprendo a nuove collaborazioni nel campo della transizione energetica.

Sul piano europeo, il governo ha mantenuto una linea prudente ma decisa, schierandosi per un’Europa “meno burocratica” e più attenta agli interessi strategici dei singoli Stati membri. I rapporti con Bruxelles sono stati spesso tesi, ma mai rotti. La Meloni ha partecipato attivamente ai vertici europei, mantenendo posizioni ferme su dossier come immigrazione, energia e riforme del Patto di stabilità.

Per quanto riguarda la politica energetica interna, il governo ha adottato un approccio multi-fonte. L’obiettivo è stato quello di garantire l’autosufficienza attraverso un mix di gas naturale, energie rinnovabili e riapertura del dibattito sul nucleare. L’Italia ha aumentato la capacità di rigassificazione, ha ampliato i depositi di stoccaggio e ha sostenuto nuovi progetti per l’installazione di impianti fotovoltaici e eolici su larga scala.

Nel 2024, le energie rinnovabili hanno coperto circa il 38% del fabbisogno nazionale, un dato in crescita ma ancora distante dagli obiettivi fissati dal Green Deal europeo. Il governo ha promesso ulteriori investimenti, anche con fondi del PNRR, per accelerare il passaggio verso un modello sostenibile di produzione e consumo energetico.

Parallelamente, sono stati introdotti incentivi per l’efficienza energetica nelle abitazioni, con nuove agevolazioni per la riqualificazione degli immobili e la riduzione dei consumi. Tuttavia, il quadro normativo è ancora considerato instabile dagli operatori del settore, che chiedono semplificazioni e maggiore chiarezza per attrarre investimenti.

Anche sul fronte dei trasporti e della mobilità green, si è aperta una nuova fase. Il governo ha confermato il sostegno ai biocarburanti e ha mantenuto una posizione critica sulle imposizioni europee legate al solo elettrico. È in discussione l’equilibrio tra innovazione tecnologica e tutela delle industrie tradizionali, con l’obiettivo di non penalizzare il comparto manifatturiero italiano.

In sintesi, la politica estera ed energetica del governo Meloni ha puntato su diversificazione, sicurezza degli approvvigionamenti e centralità geopolitica dell’Italia, cercando di coniugare interessi economici e strategici in un quadro globale sempre più instabile. Resta da capire se le scelte fatte porteranno risultati duraturi e concreti anche in termini di costi per famiglie e imprese

Equilibrio instabile tra riforme e risultati

Il governo Meloni ha dato prova di determinazione e capacità di intervento rapido. Le riforme strutturali sono numerose e spesso incisive, ma la loro efficacia resta da verificare nel medio e lungo periodo. Molti dei provvedimenti approvati sono ancora nella fase iniziale di attuazione o necessitano di decreti attuativi.

La crisi non è superata. L’Italia si trova ancora in una fase di transizione difficile, in cui i risultati promessi devono tradursi in miglioramenti concreti per cittadini e imprese. Il governo ha guadagnato fiducia sui mercati, ma resta sotto osservazione sia da parte dell’opinione pubblica che dell’Unione Europea.

Se le misure economiche, sociali e istituzionali riusciranno a produrre effetti duraturi e inclusivi, sarà possibile voltare pagina. Altrimenti, il rischio è che l’ambizione di riformare si trasformi in una semplice operazione di immagine, senza impatto reale sulla vita quotidiana degli italiani.


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