Il Manifesto di Ventotene: una visione contro il caos del presente
In un’Europa devastata dalla guerra, tre uomini immaginano un futuro diverso. Nel 1941, in confino sull’isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni scrivono il Manifesto per un’Europa libera e unita. Non è un sogno vago, ma un piano concreto per superare il nazionalismo distruttivo con una vera Unione politica europea.
In quel documento si leggono parole ancora oggi attuali: “La linea di divisione tra progressisti e reazionari cade non più lungo la linea formale della democrazia, ma lungo quella sostanziale del problema nazionale.” Un invito a superare le logiche di potere per costruire un’Europa solidale, democratica e federale.
Dalla guerra alle istituzioni europee
I tre autori, antifascisti e visionari, non parlavano da ideologi. Vivevano in prima persona l’oppressione dei regimi totalitari. Il loro manifesto non fu solo una denuncia, ma una proposta radicale: mettere fine al dominio degli Stati nazione in favore di istituzioni comuni sovranazionali.
Questa visione ha ispirato l’intero progetto europeo, fino alla nascita dell’Unione Europea. Eppure oggi, a più di 80 anni di distanza, quella spinta originaria sembra essersi persa. Il rischio? Un’Europa frammentata, incapace di affrontare le crisi globali.
L’attacco della politica contemporanea
Negli ultimi anni, il Manifesto di Ventotene è stato criticato da esponenti sovranisti. Tra questi, Giorgia Meloni, che lo ha definito “un documento ideologico e pericoloso”. Una lettura distorta che ignora la vera essenza di quel testo: superare le guerre attraverso l’integrazione politica.
Secondo la presidente del Consiglio, parlare di federalismo europeo sarebbe un attacco alla sovranità nazionale. Ma è esattamente il contrario: per gli autori del Manifesto, la sovranità senza cooperazione è una trappola. La vera sovranità, oggi, è quella condivisa.

La crisi delle sovranità nazionali
L’Europa contemporanea si trova in una posizione delicata. L’assenza di una vera Unione politica ha mostrato i suoi limiti in momenti decisivi: dalla crisi finanziaria del 2008 alla pandemia da Covid-19, fino alla guerra in Ucraina.
In ognuno di questi casi, l’Unione Europea ha faticato a rispondere in modo coordinato. Le istituzioni comuni, senza una base politica solida, si sono trovate ostaggio delle agende nazionali. Questo ha alimentato sfiducia, populismi, e un crescente sentimento anti-europeo.
La prospettiva federale come unica via
Per il filosofo Giacomo Marramao, autore dell’editoriale su L’Espresso, l’unica prospettiva per salvare l’Unione è tornare a Ventotene: “Senza unione politica, l’Europa rischia di sparire dalla scena globale”.
La sfida odierna non è più tra destra e sinistra, ma tra integrazione e frammentazione. Tra chi vuole un’Europa forte e chi sogna un ritorno impossibile al passato. In un mondo dominato da grandi potenze come USA e Cina, solo una Europa unita politicamente può contare qualcosa.
Esempi attuali di federalismo necessario
La mancanza di un esercito europeo ha reso l’UE dipendente dalla NATO. L’assenza di una politica estera comune ha portato divisioni su Israele, Ucraina, Cina. La crisi migratoria, gestita in modo disomogeneo, ha esacerbato tensioni interne.
Eppure, ci sono segnali positivi: il Next Generation EU è stato un primo passo verso una solidarietà finanziaria europea. Ma senza una vera governance politica, anche queste iniziative rischiano di restare episodi isolati.
La sfida del Parlamento europeo
Le elezioni del 2024 hanno mostrato come l’opinione pubblica europea sia ancora fortemente divisa. Serve rafforzare il Parlamento europeo, dare più potere alle sue decisioni, e creare un vero governo federale dell’Unione.
Una Costituzione europea potrebbe essere il passo decisivo. Ma servono coraggio e visione politica. E soprattutto, la consapevolezza che senza un’Europa unita, i singoli Stati rischiano di essere irrilevanti.

Il ritorno dei nazionalismi
Il nazionalismo non è solo un’idea. È una forza che sta tornando con prepotenza in tutta Europa. In Italia, Francia, Ungheria, Germania, crescono partiti che vogliono demolire l’Unione dall’interno.
Questi movimenti si presentano come difensori della libertà, ma in realtà minano la stabilità europea. La vera libertà non è chiudersi nei confini, ma costruire un progetto comune dove le differenze siano una ricchezza e non un ostacolo.
Ventotene oggi: un simbolo da riscoprire
Ventotene è una piccola isola del Mar Tirreno, in provincia di Latina. Ma nella memoria europea è molto di più. È il luogo dove è nata l’idea di una Europa federale, scritta sotto dittatura, in condizioni estreme, da uomini che credevano nella libertà anche quando sembrava impossibile.
Oggi Ventotene non è solo meta turistica. È un simbolo politico e culturale. Ogni anno ospita scuole estive europee, incontri tra giovani, dibattiti tra studiosi, politici e attivisti. Qui si parla di integrazione europea, di pace, di cittadinanza attiva.
L’isola è diventata uno dei luoghi-simbolo dell’Unione Europea, come Strasburgo e Bruxelles. È qui che si coltiva ancora il sogno di un’Europa unita nei valori, non solo nei mercati. A Ventotene sono passati negli anni capi di Stato, Presidenti della Repubblica, rappresentanti delle istituzioni europee, da Napolitano a Mattarella, da Prodi a Draghi, fino a David Sassoli, che nel 2021 la definì “l’isola dove è nata l’Europa che vogliamo”.
L’importanza simbolica è tale che nel 2016, dopo la Brexit, i leader di Italia, Francia e Germania scelsero proprio Ventotene per rilanciare il progetto europeo. Fu un gesto chiaro: ripartire dai valori fondanti per affrontare il futuro.
Eppure, Ventotene resta ancora troppo poco conosciuta, soprattutto tra i cittadini europei. Recuperare il suo significato è essenziale. Perché in un momento storico in cui l’Unione sembra arrancare tra divisioni e populismi, tornare alle origini è un modo per ritrovare slancio e visione.
Oggi più che mai, Ventotene è attuale. È il promemoria fisico che l’Europa non è nata per caso, né per calcoli economici, ma da un’idea alta di civiltà, costruita su solidarietà, giustizia, libertà e pace.
Dare spazio a Ventotene nel dibattito pubblico, nelle scuole, nei media, significa rafforzare l’identità europea. Significa dire ai giovani che l’Europa non è solo burocrazia o vincoli, ma anche coraggio, resistenza, futuro.
Chi crede nell’Unione Europea ha il dovere di tutelare e valorizzare questo luogo, non solo come memoria storica, ma come fonte viva di ispirazione per il domani.

Unione o disintegrazione
Oggi come nel 1941, l’Europa è di fronte a un bivio storico. Da una parte c’è la strada dell’illusione sovranista, fatta di confini chiusi, paure, ritorni al passato. Dall’altra, c’è l’opportunità di costruire una vera Unione politica europea, capace di garantire sicurezza, democrazia, sviluppo sostenibile e peso geopolitico nel mondo.
Il Manifesto di Ventotene ci insegna che non esiste progresso senza visione politica. I suoi autori, in un’epoca ben più buia della nostra, seppero immaginare un’Europa nuova, fondata su valori condivisi, istituzioni forti e una vera sovranità comune.
Oggi, quel sogno non solo è ancora attuale, ma è diventato una necessità strategica. Senza una trasformazione dell’Unione Europea in una comunità politica coesa, saremo destinati a subire gli eventi invece che guidarli. Le sfide globali — dal cambiamento climatico alla rivoluzione digitale, dalle guerre ai confini alle crisi energetiche — richiedono risposte comuni, e strumenti comuni.
Restare legati a una logica intergovernativa, dove ogni Stato pensa solo a sé, non è più sostenibile. In un mondo dominato da superpotenze continentali come Stati Uniti, Cina e India, l’Europa può sopravvivere solo se diventa essa stessa una potenza politica unita. Non per conquistare, ma per difendere i suoi cittadini, i suoi valori, la sua democrazia.
Chi rifiuta il federalismo europeo non propone un’alternativa: propone solo il declino. Chi vuole salvare davvero l’Europa deve battersi per rafforzarla, non per smontarla.
Il Manifesto di Ventotene ci lascia una scelta chiara. Non è tempo di esitazioni. Non possiamo più permetterci un’Europa a metà. O costruiamo una Unione politica vera, forte, democratica, oppure l’Europa, semplicemente, non sarà.




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