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Onorevoli a scrocco: perché i nostri parlamentari non vogliono più pagare nemmeno il loro partito?

Onorevoli a scrocco: perché i nostri parlamentari non vogliono più pagare nemmeno il loro partito?

Un problema poco noto ma molto serio

Molti parlamentari italiani non versano più le quote obbligatorie ai propri partiti. È un comportamento che passa spesso sotto silenzio. Eppure, rischia di mettere in difficoltà le finanze delle forze politiche.

Si tratta di un problema crescente, che colpisce quasi tutti i gruppi parlamentari. E i numeri parlano chiaro.

Cosa sono le quote che i parlamentari devono pagare

Chi viene eletto in Parlamento, in teoria, è tenuto a versare una parte del proprio stipendio al partito che lo ha candidato. È un modo per sostenere l’attività politica, pagare collaboratori, sedi, eventi e comunicazione.

Ogni partito stabilisce regole interne. Ma nella maggior parte dei casi la quota è tra i 1.000 e i 2.500 euro al mese. Un contributo importante, soprattutto per i partiti che non ricevono più rimborsi elettorali.

I numeri: chi non paga?

Secondo le ultime inchieste, circa il 20-30% dei deputati e senatori non versa le quote dovute. Alcuni partiti arrivano anche al 40%. In alcuni casi si tratta di ritardi, in altri di veri e propri rifiuti sistematici.

Un esempio clamoroso è quello del Partito Democratico. Fonti interne parlano di oltre 1 milione di euro mancato nel solo 2024 a causa di parlamentari morosi.

Anche in Fratelli d’Italia e nella Lega si registrano casi gravi, anche se meno diffusi.

Le conseguenze per i partiti

Questa situazione non è solo un problema etico. È anche un disastro pratico. I partiti, senza quei soldi, faticano a coprire le spese ordinarie. Molti segretari provinciali denunciano la chiusura di sedi, la fine delle attività nei territori, il blocco della formazione politica.

In pratica, le forze politiche rischiano di diventare solo sigle televisive. Senza presenza reale.

La crisi della politica parte anche da qui

Il fenomeno degli “onorevoli morosi” è solo un pezzo della crisi della politica italiana. Sempre più eletti vivono la carriera parlamentare come una carriera personale, non come un incarico collettivo.

La politica si svuota di senso, mentre i partiti diventano sempre più deboli. La mancanza di fondi peggiora la qualità del dibattito pubblico. Senza risorse, non si organizzano congressi, eventi, confronti veri.

L’appello dei segretari

Molti segretari di partito hanno lanciato appelli pubblici. Chiedono ai parlamentari di versare quanto dovuto. Alcuni partiti stanno valutando sanzioni interne, ma non è facile.

Non esistono strumenti giuridici forti per obbligare un eletto a pagare. È tutto legato a questioni di coscienza e di appartenenza.

E se l’obbligo fosse per legge?

Si discute se introdurre una norma nazionale che imponga un contributo fisso. Una piccola quota da destinare direttamente al partito, gestita in modo trasparente.

Ma anche qui ci sono ostacoli. Qualcuno teme che si tratti di un ritorno al finanziamento pubblico, già cancellato con una riforma del 2013.

Il silenzio della stampa

Curiosamente, il tema degli onorevoli morosi riceve pochissima attenzione. Raramente se ne parla nei telegiornali o nei talk show.

Eppure riguarda direttamente la qualità della democrazia. Partiti senza risorse diventano facilmente preda di interessi esterni o gruppi di pressione.

I cittadini pagano le conseguenze

Un partito indebolito è meno capace di fare opposizione, meno preparato a governare, meno presente nei territori. Il risultato è una politica sempre più lontana dai problemi reali.

I cittadini si trovano soli, senza interlocutori forti. E cresce la sfiducia.

Un sintomo del declino politico

Il rifiuto di pagare le quote non è solo un gesto egoista. È il segno di una rottura profonda. Di un disinteresse crescente per la collettività.

Siamo di fronte a una classe politica che fatica a riconoscere l’importanza del lavoro di squadra, della struttura, della comunità.

Il confronto con altri Paesi

In altri Paesi europei le cose vanno diversamente. In Germania, ad esempio, i partiti ricevono fondi pubblici trasparenti, ma anche grandi donazioni private da imprese e cittadini.

In Francia, la legge impone meccanismi rigidi per la rendicontazione delle spese e dei contributi. I parlamentari francesi pagano le quote con grande puntualità.

Serve una riforma?

Per risolvere il problema degli onorevoli morosi potrebbe servire una riforma complessiva. Un nuovo equilibrio tra finanziamento pubblico e trasparenza privata.

Ma per farlo servono volontà politica, regole chiare e il coraggio di affrontare un tema impopolare.

La trasparenza può aiutare

Un’idea potrebbe essere pubblicare ogni anno, sul sito del partito, l’elenco dei parlamentari in regola e dei morosi. Come fanno alcune organizzazioni no profit.

In questo modo si esercita una pressione morale positiva. E i cittadini possono valutare.

Il ruolo dei media indipendenti

La stampa ha una responsabilità. Deve informare, scavare, denunciare. Il tema delle quote parlamentari è tecnico, ma fondamentale.

I media indipendenti devono aiutare a spiegare la posta in gioco, senza semplificazioni o polemiche inutili.

La politica si fa con i fatti

Il fenomeno degli onorevoli morosi non è solo una nota di colore. È il riflesso di una frattura profonda tra politica e collettività, tra chi rappresenta e chi è rappresentato. Quando un parlamentare si rifiuta di contribuire al funzionamento del partito che lo ha eletto, sta mandando un messaggio chiaro: l’interesse personale viene prima del bene collettivo.

Questa logica mina le basi della democrazia rappresentativa. Senza partiti solidi, radicati e trasparenti, l’intero sistema si indebolisce. Il rischio è quello di una politica sempre più personalistica, fatta di singoli individui sganciati da ogni controllo, da ogni linea politica, da ogni struttura. E una politica senza struttura è una politica che non regge l’urto del presente.

Nel frattempo, i territori si svuotano. Le sedi locali chiudono, le attività si fermano, i giovani smettono di avvicinarsi alla politica perché non vedono un luogo dove imparare, crescere, partecipare. La crisi della militanza politica, che va avanti da anni, trova nel comportamento di questi deputati e senatori una delle sue cause più gravi.

Ripartire dalla responsabilità individuale è oggi fondamentale. Ogni eletto dovrebbe sentirsi parte di un progetto, non solo beneficiario di un ruolo. Versare una quota mensile, pur minima, è un atto che ha un valore simbolico altissimo. Significa dire: “Credo nel gruppo che rappresento. Contribuisco alla sua esistenza. Mi assumo il mio pezzo di impegno”.

Ma non basta. Serve anche una nuova cultura della trasparenza e della rendicontazione. I cittadini devono sapere dove finiscono i soldi, come vengono usati, chi partecipa e chi no. Solo così si può ricostruire quel legame oggi così fragile tra cittadini e istituzioni.

In conclusione, il caso degli onorevoli morosi ci pone di fronte a una domanda scomoda ma necessaria: che tipo di politica vogliamo? Una politica forte, collettiva, radicata? O una politica svuotata, dove ognuno fa da sé e nessuno risponde a nessuno?

La risposta sta nelle scelte di oggi. Anche – e soprattutto – nelle piccole cose. Come pagare una quota, ogni mese, per tenere in vita la democrazia concreta.


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