Una laurea che non vale più niente
È scoppiata una vera e propria bomba sociale e istituzionale nel cuore dell’Emilia-Romagna, con epicentro tra Modena e Reggio Emilia: centinaia di educatrici professioniste, formatesi e laureatesi all’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore), si sono viste improvvisamente cancellare il valore abilitante della loro laurea. Non per un errore personale, né per una mancata iscrizione, ma per una negligenza strutturale dell’università stessa, che per anni ha ignorato – o sottovalutato – un cambiamento normativo nazionale fondamentale.
Tra il 2017 e il 2019, queste giovani donne hanno intrapreso con passione e convinzione un percorso universitario nella convinzione che li avrebbe abilitate a lavorare nei nidi d’infanzia, pubblici o privati. Oggi, nel 2025, a distanza di anni dalla laurea e dopo esperienze lavorative concrete, tirocini completati, concorsi sostenuti, si ritrovano con un pugno di mosche in mano. L’università ha comunicato loro, tramite una fredda e-mail, che il titolo conseguito non è più sufficiente per esercitare la professione di educatrice nella fascia 0–3 anni.
Una comunicazione che ha fatto esplodere rabbia, incredulità e senso di ingiustizia. Perché se è vero che le norme cambiano, è altrettanto vero che un’università non può permettersi di ignorarle e, ancor peggio, non può lasciare che le conseguenze di quell’errore ricadano interamente sulle spalle degli studenti.
Questa è una storia di malagestione, di silenzi colpevoli e di vite stravolte. Ma è anche la storia di una protesta che cresce, di un intero settore – quello educativo – che rischia il collasso, e di un’ingiustizia che ora chiede di essere risarcita.

Le origini del disastro: errori e omissioni
Nel 2017, il DL 65/2017 e il DM 378/2018 hanno introdotto criteri precisi per abilitare gli educatori nei servizi 0-3 anni. Tra questi:
- almeno 55 CFU in settori specifici;
- tirocinio pratico nei nidi;
- un curriculum coerente con il nuovo profilo professionale.
Ma l’Università di Modena e Reggio Emilia ha continuato per anni a immatricolare studenti in un corso non più conforme, senza avvisarli del rischio. Il risultato? Lauree formalmente valide ma inutilizzabili per lavorare nei nidi.
Storie vere: vite stravolte, sogni congelati
Francesca, 27 anni, lavora da tre anni in un asilo nido privato a Reggio Emilia:
“Mi hanno detto che se non mi iscrivo al nuovo corso e rifaccio 55 crediti, mi licenziano. Ma io lavoro 40 ore a settimana e ho una figlia di 2 anni. È impossibile. Sento come se mi avessero rubato la mia vita.”
Giulia, 31 anni, educatrice a Modena:
“Sono in graduatoria per un posto pubblico. Mi stavo preparando per il concorso. Ora mi dicono che non posso partecipare. Ho dato tutto a questa professione e ora mi dicono che non valgo niente.”
Le testimonianze si moltiplicano. C’è chi ha lasciato altri percorsi per inseguire il sogno educativo. Chi ha rifiutato offerte di lavoro. Chi si è trasferita, ha investito tempo e denaro per formarsi, per poi scoprire che tutto è stato vanificato da un errore istituzionale.
L’impatto devastante sul sistema educativo
Dati aggiornati
- Educatrici coinvolte solo a Modena e Reggio: circa 400.
- In tutta Italia: fino a 31.000 persone potenzialmente nella stessa situazione.
- Percentuale di asili privati in Emilia-Romagna che si affidano a cooperative: oltre il 60%.
- Educatrici coinvolte che lavorano attualmente: oltre il 70%.
- Personale educativo richiesto per settembre 2025 nei nidi regionali: +8% rispetto al 2024.
Se queste figure non potranno più lavorare, intere sezioni dei nidi potrebbero non riaprire a settembre. I Comuni si troveranno senza educatori e le famiglie senza servizi essenziali.

Possibili azioni legali: il fronte giudiziario
Molti degli ex-studenti colpiti stanno valutando ricorsi collettivi e singoli contro l’ateneo. I punti su cui si basano:
- Violazione dell’affidamento legittimo: chi si iscrive a un’università si fida della validità del corso.
- Danno professionale ed esistenziale: chi ha perso il lavoro o la possibilità di lavorare può chiedere un risarcimento.
- Mancata trasparenza: l’università non ha informato correttamente gli studenti delle modifiche normative.
Alcuni avvocati del lavoro e del settore amministrativo stanno già preparando azioni collettive. Si parla anche di denunce per omissione di atti d’ufficio, se emergessero prove che l’università era a conoscenza del problema ma ha taciuto.
“Unimore ha avuto cinque anni per sistemare il piano di studi. Invece ha fatto finta di nulla e ora ci lascia nei guai,” afferma Valeria, una delle portavoce del comitato spontaneo.
Le richieste delle educatrici (dette chiare e forti)
- Subito una sanatoria nazionale: chi si è laureato prima dell’adeguamento ministeriale deve vedere riconosciuta l’abilitazione, come già avvenuto in passato per altri corsi.
- Stop ai licenziamenti: le cooperative non possono cacciare lavoratrici per un errore dell’università.
- Percorsi integrativi gratuiti e in orario serale/weekend: Unimore ha il dovere di rimediare senza scaricare il peso su chi ha già subito il danno.
- Riconoscimento dei crediti tramite esperienza lavorativa: chi ha lavorato nei nidi per anni non può essere trattato come un principiante.
Politica e istituzioni: qualcosa si muove, ma non basta
Regione Emilia-Romagna
L’assessora Marwa Mahmoud ha richiesto al Ministero una deroga urgente per consentire alle educatrici di lavorare anche durante il periodo di regolarizzazione. La Regione sta valutando una delibera d’urgenza per tutelare i servizi educativi.
Ministero dell’Università
Ad oggi, nessuna risposta formale. I tecnici sono al lavoro su un’ipotesi di circolare interpretativa, ma il rischio è che arrivi troppo tardi per salvare i posti di lavoro di settembre.
I Comuni
Alcuni sindaci (es. Reggio Emilia e Modena) stanno appoggiando le proteste. Vogliono evitare che centinaia di posti nei nidi restino scoperti, con ripercussioni a catena su famiglie e bilanci comunali.

Come evitare che accada di nuovo: le riforme necessarie
Questa vicenda deve essere un campanello d’allarme per l’intero sistema universitario. Servono azioni chiare per evitare altri disastri simili:
- Obbligo di allineamento annuale dei piani di studio rispetto ai requisiti ministeriali.
- Controlli ispettivi periodici da parte del MIUR sulle università.
- Creazione di una task force permanente sulle professioni socio-educative.
- Meccanismi automatici per il riconoscimento retroattivo in caso di cambi normativi.
- Sanzioni agli atenei che non aggiornano i percorsi di studio entro i tempi stabiliti.
Un appello forte alla società: “Non lasciateci sole!”
Le educatrici colpite da questa ingiustizia non stanno chiedendo privilegi. Chiedono rispetto per il loro lavoro. Chiedono dignità. E chiedono che lo Stato non faccia finta di nulla.
“Abbiamo educato i vostri figli. Ora aiutateci voi a non perdere tutto.”
È tempo che opinione pubblica, genitori, istituzioni e cittadini si mobilitino. Una petizione nazionale è già attiva. Il 12 luglio ci sarà un presidio pubblico. Ma serve pressione politica: questa battaglia si vince solo insieme.
Questo non è solo un errore amministrativo. È una crisi sociale, una violenza istituzionale inflitta a centinaia di lavoratrici che hanno creduto nello Stato, nell’Università, nella formazione. Se non si interviene subito, a perdere non saranno solo loro, ma tutti noi: famiglie, bambini, comunità.
È il momento di dire basta. Di pretendere risposte. Di trasformare la rabbia in azione.




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