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Caso Garlasco: l’ombra lunga del segno “44” e le impronte che riaprono il mistero

Caso Garlasco: l’ombra lunga del segno “44” e le impronte che riaprono il mistero

Una traccia dimenticata che torna a far rumore

A diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il delitto di Garlasco non smette di far parlare di sé. Negli ultimi giorni, una nuova traccia emersa tra le carte processuali è tornata al centro dell’attenzione: si tratta di un’impronta numero 44 rinvenuta su una scala interna della villetta di via Pascoli, dove la ragazza venne trovata morta l’11 agosto 2007. Un dettaglio che potrebbe sembrare trascurabile, ma che riaccende interrogativi mai sopiti.

L’impronta, insieme ad altri due segni etichettati “33” e “97f”, era già nota agli inquirenti ma non era mai stata pienamente valorizzata in sede giudiziaria. Ora, in seguito a una richiesta di revisione del caso da parte della difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva nel 2015 a 16 anni per l’omicidio della fidanzata, quei segni tornano al centro della scena. E lo fanno con un peso diverso, perché oggi più che mai ci si interroga su quanto la verità processuale coincida con quella oggettiva.

Chi ha lasciato il segno “44”? Una domanda aperta

Il dato più inquietante riguarda la misura dell’impronta 44, che sembrerebbe non corrispondere né a quella di Chiara, né a quella di Alberto Stasi, né ad altri soggetti coinvolti nelle fasi investigative. Questo alimenta un dubbio cruciale: c’era un terzo soggetto sulla scena del crimine?

Secondo quanto riportato dai consulenti tecnici, l’impronta presenta una misura compatibile con una scarpa numero 44, corrispondente approssimativamente a una lunghezza del piede di 28,3 cm. È stata individuata su uno dei gradini della scala interna, precisamente nella parte alta che conduce al primo piano. La posizione in cui è stata trovata, così come la pressione del segno sul legno, indicano che si trattava di un passo fermo, ben marcato: non una semplice contaminazione accidentale.

C’è chi ipotizza che questa impronta possa essere stata lasciata dall’assassino durante la fuga, o addirittura in un momento antecedente l’aggressione. Ma la vera domanda è: perché non è stata approfondita al tempo? E soprattutto: perché non è mai stato cercato un confronto diretto con potenziali soggetti esterni alla cerchia di indagati principali?

Le altre due impronte misteriose: “33” e “97f”

Oltre al segno “44”, tornano in discussione anche altre due impronte: la “33” e la “97f”. La prima, etichettata dai RIS come compatibile con una scarpa sportiva, era stata individuata sulla scala ma mai attribuita con certezza. Alcuni test preliminari la avevano collegata, in modo non conclusivo, a un paio di scarpe Nike che Stasi avrebbe posseduto. Tuttavia, nessuna compatibilità morfologica piena è stata riconosciuta.

La seconda impronta, denominata “97f”, è ancora più enigmatica. Si tratta di un segno sporco di sangue, parzialmente visibile, che si perde in un’area vicina alla porta del bagno. A causa del deterioramento e del contesto contaminato, non è stato possibile eseguire un confronto certo con alcuna calzatura.

Ma allora, cosa ci dicono davvero queste tracce? Forse che la scena del crimine era più complessa di quanto si sia voluto ammettere. Le impronte, nella loro mutezza fisica, parlano di movimenti non chiariti, di presenze non identificate, di dinamiche meno nette di quanto stabilito nei tre gradi di giudizio.

Stasi e il peso di una condanna controversa

Alberto Stasi è in carcere dal 2015. Condannato a 16 anni con l’accusa di aver ucciso la sua fidanzata nella casa di lei, ha sempre proclamato la propria innocenza. Le prove contro di lui non sono mai state definitive: nessun DNA, nessuna impronta digitale, nessuna traccia biologica. La sua colpevolezza è stata stabilita sulla base di indizi, testimonianze parziali, e soprattutto sulle incongruenze nei suoi comportamenti successivi al ritrovamento del cadavere.

Uno dei punti principali della condanna fu il fatto che Stasi, entrando nella villetta e trovando il corpo, non si sporcò le scarpe di sangue. La spiegazione, secondo i giudici, fu che l’omicidio fosse stato premeditato e che egli avesse agito con accortezza per evitare di lasciare tracce. Tuttavia, questa ricostruzione appare oggi meno solida alla luce del fatto che altri soggetti, sconosciuti, hanno invece lasciato impronte senza che siano mai stati individuati.

Andrea Sempio, il nome che ritorna

Nel 2016 emerse il nome di Andrea Sempio, amico di Chiara e della famiglia Poggi, mai indagato formalmente. Alcuni accertamenti richiesti dalla difesa di Stasi, effettuati da esperti forensi indipendenti, avevano suggerito una compatibilità tra il DNA di Sempio e una traccia biologica ritrovata su un oggetto nel bagno.

Tuttavia, la Procura non ritenne quelle prove sufficienti per riaprire il caso. Ma ora, con il ritorno delle impronte misteriose, il nome di Sempio torna d’attualità. C’è chi si chiede se la sua posizione sia stata valutata con la dovuta attenzione, o se l’accanimento mediatico e giudiziario verso Stasi abbia in qualche modo oscurato altre piste possibili.

La revisione: un percorso raro e difficile

La richiesta di revisione presentata dalla difesa è un passaggio delicato. In Italia, i processi possono essere riaperti solo in presenza di elementi nuovi, non valutati in precedenza e potenzialmente decisivi. Non basta la semplice scoperta di una nuova traccia: serve dimostrare che quella traccia, se fosse stata considerata all’epoca, avrebbe potuto cambiare l’esito del processo.

La Corte d’Appello competente dovrà valutare non solo l’esistenza materiale dell’impronta “44”, ma anche il suo valore probatorio, la sua posizione sulla scena del crimine, e la possibilità concreta che indichi un altro autore. Se la richiesta verrà accolta, potrebbe aprirsi un nuovo processo che riscriverebbe l’intera storia giudiziaria di Garlasco.

Il ruolo della stampa e l’effetto mediatico

Il caso Garlasco è stato fin dall’inizio uno dei più seguiti dalla stampa italiana, contribuendo a formare un’opinione pubblica polarizzata. La figura di Stasi è stata sezionata, giudicata, spesso condannata prima ancora della sentenza definitiva. Il volto di Chiara, invece, è diventato quello di una vittima innocente, simbolo di una gioventù spezzata.

Negli ultimi tempi, però, si è aperto un dibattito più ampio: quanto ha influito la pressione mediatica sulle indagini? E quanto spazio è stato realmente concesso a piste alternative, una volta costruito un colpevole credibile agli occhi dell’opinione pubblica?

Anche il giornalismo dovrebbe forse fare autocritica: la narrazione semplificata del “mostro della porta accanto” ha spesso preso il posto dell’analisi razionale. In tutto questo, la verità sembra ancora un obiettivo lontano.

Una verità sospesa, tra giustizia e memoria

Nel frattempo, la famiglia Poggi continua a chiedere giustizia per Chiara, convinta che l’uomo giusto sia in carcere. La loro sofferenza, comprensibilmente, non si placa. Ma parallelamente, cresce il numero di giuristi, giornalisti, tecnici e semplici cittadini che nutrono dubbi su come è stato costruito l’impianto accusatorio.

Il rischio, in casi come questi, è duplice: condannare un innocente e lasciare libero il vero colpevole. Le nuove impronte rappresentano quindi una possibile chiave, non solo tecnica, ma anche simbolica. Perché ogni impronta racconta un movimento, e ogni movimento può rivelare una storia diversa.

E ora?

La Procura sta valutando la documentazione presentata dalla difesa. L’udienza preliminare per discutere l’eventuale apertura di un processo di revisione è attesa entro fine anno. Se il giudice deciderà di procedere, potremmo trovarci di fronte a un caso giudiziario epocale, capace di rimettere in discussione non solo una sentenza, ma anche il metodo con cui si è costruita quella verità.

Intanto, l’impronta numero “44” rimane lì, incisa nella memoria di chi vuole ancora capire. Una traccia dimenticata, che forse merita di essere seguita fino in fondo.


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